venerdì 5 dicembre 2008

L'impronta biologica

L'impronta biologica misura i parametri di impatto dei vari metodi di vita, di produzione.
E' importante valutarla per capire quali di questi metodi permettano una effettiva sostenibilità e rigenerazione delle materie prime, onde evitare una eccessiva depauperazione o estinzione delle stesse.
E' uno studio nuovo ed essenziale per la sopravvivenza terrestre.
Più uno stile di vita o un prodotto hanno un'impronta biologica marcata, più sono da scartare.
Un esempio nel campo degli acquisti responsabili:
- nei prodotti della terra, la gestione di terzi e la filiera lunga.
Le grandi catene di distribuzione sono enti con una forte impronta biologica, perché attuano una pressione economica sui produttori, creando una forbice tra i prezzi di acquisto molto bassi ed i prezzi di vendita alti (il tutto solo per mantenere il margine di guadagno alto).
Questo ha conseguenze multiple e a catena che vanno ben al di là del semplice costo d'acquisto alto:
- i produttori, nel tentativo di mantenere la redditività del prodotto, lo forzano fuori stagione per avere la cosiddetta primizia. Questo vuol dire largo impiego di prodotti chimici, largo impiego di mezzi di riscaldamento, distruzione del prodotto al rientro stagionale = pollution, aumento delle malattie sociali, spreco.
- l'impiego di mezzi sofisticati in agricoltura prevede un grosso impegno finanziario, di conseguenza molti di coloro che non sono in grado di affrontarlo si vedono costretti ad abbandonare le coltivazioni. Si riversano sui poli industriali cercando un lavoro = aumento della pressione demografica nei centri urbani, aumento della disoccupazione e della mano d'opera non specializzata, di conseguenza aumento anche delle tensioni sociali.
- l'abbandono delle terre porta ad un impoverimento della produttività di base (necessaria al sostentamento umano), ma anche ad un gravissimo deterioramento delle strutture di base che proteggono il territorio = innondazioni, alluvioni, frane, smottamenti.
Tornando a bomba, un negoziante che tirando ad aumentare le vendite, compra sotto-costo, non ci sta offrendo un affare, ma contribuisce a scavarci la fossa.

la pressione dell'acquirente






Le pressioni possono essere mediatiche, di gruppo o anche personali.
Se l’intento di chi non vuol guardare al benessere altrui, al futuro dell’umanità è il guadagno immediato, la penalizzazione attraverso il non acquisto è l’azione per eccellenza.

Però, perché la penalizzazione sia tangibile, deve coinvolgere tutti i lati della produzione inadempiente, anche quelli laterali:

- non si acquistano i giornali che riportano le pubblicità menzognere
- in tv non si vedono gli spettacoli sponsorizzati da questi produttori o che contengono troppe pubblicità menzognere
- non si compra nei negozi compromessi da un ottica di lucro insensato, o da connivenze malavitose
- non si comprano oggetti con un’impronta biologica troppo marcata

Ove possibile bisogna parlare con il commerciante per aiutarlo a fare delle scelte più etiche, offrendo aiuto e sostegno (acquisti) qualora decida di attuare una vendita più eticamente corretta.

Non si acquista negli outlet.

La vendita dell’invenduto, del fuori serie che veniva giustamente fatta nel punto vendita aziendale e serviva ad evitare gli sprechi, ora è stata totalmente stravolta.

Molte griffes del prêt-a-porter, affidano l’esecuzione dei loro capi (fornendo stoffe e accessori) a gruppi malavitosi che indicono gare in paesi italiani e non, dove le maestranze sono capaci, ma affamate e ricattabili. Poi un delegato della griffe acquista (dall'organizzazione malavitosa) solo quei capi che ritiene migliori come rapporto opera-prezzo-di-costo (e qualche volta neanche quello!), lasciando tutti gli altri capi in mano al gruppo malavitoso che li spaccia attraverso gli outlets , boutiques e ambulanti compiacenti.
Chi acquista in un outlet, spesso acquista merce uguale come base a quella venduta dalla maison, ma può essere certo che la sua è costata sangue a qualcuno e che, acquistandola solo per la griffe, contribuisce a mantenere in piedi un giro politicamente molto scorretto di plus valore merceologico e di guadagni illeciti.

sabato 22 novembre 2008

imballaggi TEST

Test per constatare quanto siamo corresponsabili

Questo è un test molto semplice per tutti coloro che fanno già la raccolta differenziata, per gli altri è un buon sistema per iniziare a farla.

Raccogliere in modo differenziato la spazzatura durante tutto il week end:
venerdì, sabato e domenica.
Per una volta non eliminarla subito. Sistemarla in modo che sia visibile e tangibile (per la constatazione)

carta, cartone - vetro (senza i tappi o le capsule) - plastica, la carta doppiata da film plastici, vassoietti da supermercato (quelli della carne e del pesce basta sciacquarli), blister, sacchetti , bottiglie - alluminio in foglio, in vassoietti, capsule, lattine varie, coperchietti di latta, alublister - pile - sughero.

Si rimane sbigottiti quale che sia il numero dei componenti la famiglia!

È un test che serve per sensibilizzarsi, per chiarirsi anche con gli altri componenti il gruppo e che si può rifare ciclicamente per controllare quanto si progredisce nell’eliminazione delle confezioni superflue o, semplicemente, per controllare se qualcuno … bara!

imballaggi 3

Imballaggi speculativi

Se delle volte , come quella citata prima, l’ingegno è di recupero, tante altre volte è speculativo:

Un prodotto vale poco, non c’è corrispettivo merceologico?
Si decide di vendere il prodotto in quantità molto ridotte, per moltiplicare l’utile all’ennesima potenza?
Si deve creare l’illusione che serva, tanto da spingere all’acquisto compulsivo (ma con giustificazione morale accettabile)?

Ecco allora entrare in campo la psicologia,. E cosi via libera ai persuasori occulti:

La grafica accattivante. Diciture ridondanti o addirittura menzognere.
Foto sulle confezioni . Si è arrivati all’assurdo di riprodurre altro sulla confezione, tutelati dalla dicitura che quanto illustrato è meramente indicativo di ciò che si può fare con il contenuto.
Confezioni “isolanti”, visto che la psicologia di massa ha rilevato che, più una società è “affollata”, tanto più gli individui tenderanno a voler essere “gli unici” a toccare, a possedere un articolo. E non è neanche necessario che uno abbia un ego ipertrofico, per cadere in questi tranelli, basta che sia un “normale acquirente”

Per cui, onde non sommergere il mondo di spazzatura, bisogna,per lo meno, eliminare tutto il non necessario.

Bisognerebbe ridurre gli imballaggi all’indispensabile e fare in modo che questo indispensabile sia riciclabile.

E l’unico modo di farlo, è
premiare con la scelta i produttori che eliminano e contengono al massimo gli imballaggi che non sono riciclabili.
Ed esercitare una pressione ferma di non-scelta su coloro che non lo fanno.

imballaggi 2

L’importante è vendere

Ci sono anche imballaggi studiati apposta per aiutare la conservazione del prodotto ed hanno una ragione,

ma tanti altri sono semplicemente un mezzo per suggerire all’acquirente l’idea di un valore maggiore del prodotto.

Perché, spesso, frutta e verdura non vengono vendute sciolte, bensì in vassoietti di cartone (se va bene) o di plastica? Molto semplice, perché l’uniformità della pezzatura conferisce un’idea di maggior pregio, di maggior cura a tutti i livelli.
Queste merci vengono così presentate, per giustificare il prezzo merceologico, spesso non giustificato. Non importa la qualità, va piazzato. Non importano i processi di reperimento e di lavorazione, non importa quanta spazzatura creano le confezioni di questi oggetti.


L’importante è che si venda: una mela, un mestolo, una valvola.


Pochi anni fa, una grossa industria alimentare specializzata in prodotti da forno, sperimentando del pane, ottenne delle forme che, in fase di lievitazione e cottura, creavano delle creste. Nessuno avrebbe comperato quel pane troppo strano, inoltre il processo di imbustatura sarebbe stato difficile. La faccenda però non era risolvibile in tempi brevi, bisognava operare su di un macchinario molto complesso. Ma se si fosse fermato il macchinario, si sarebbe andati in perdita. La perdita di quella linea avrebbe ridotto il margine complessivo di profitto della ditta.
Così hanno studiato e trovato una soluzione geniale. Geniale alla massima potenza, tanto da fargli tanto di cappello. Per continuare a produrre, mentre si studiavano le migliorie da fare ai macchinari, hanno rifinito i pani tagliando loro “le sbavature” e li hanno offerti sul mercato già tagliati in cassetta. Hanno impostato una campagna pubblicitaria nazionale, dove un’allegra famiglia si gustava una zuppa casalinga con dei singolari crostini, che sembravano fatti apposta per fare scarpetta o puccino. I crostini non erano che le rifiniture create dall’errore della macchina, ripassate in forno. Confezione e battage pubblicitario, hanno risolto il problema. L’industria ha avuto il tempo di sistemare la produzione senza mai fermarla, ha piazzato anche il prodotto mal riuscito. Se cercate i crostini per fare scarpetta, non li trovate più. Erano solo l’intelligente soluzione consumistica di un problema temporaneo!


La categoria degli imballi e delle confezioni è l’humus di questo tipo di soluzioni.

imballaggi, 1


Una crema, un liquido debbono per forza essere contenuti in un vasetto, in una bottiglia.

Il vasetto e la bottiglia, una volta vuoti vengono riciclati.
Nessuno spreco.

Analisi di un imballaggio molto frequente: le creme

Quante volte il vasetto è racchiuso in una scatola? Quante volte all’interno della scatola si trova un foglietto che spiega le virtù della crema, la composizione, quali altri prodotti della stessa linea è possibile trovare? Quante volte le indicazioni del tipo di crema, composizione ed uso sono già riportate sia sul vasetto che sulla scatola? Quante volte la scatola è sigillata da un foglio di cellophane? Quante volte il foglio di cellophane è tenuto fermo da un adesivo di carta?

Bene, tutto questo secondo gruppo di imballaggi sono
doppioni, spreco
perché vengono buttati, non aggiungono niente al contenuto e tantomeno alla conoscenza del prodotto. Hanno l’unico scopo di creare l’idea di opulenza, di una particolare cura per indurre all’acquisto del prodotto.

Tutto questo viene buttato nella spazzatura un secondo dopo l’apertura della scatola.

E gli esempi di imballaggi superflui possono continuare in una lista lunghissima.

domenica 16 novembre 2008

Consumo responsabile



Quando si parla di riduzione dei consumi, i media creano una immagine “privativa”, di recessione coatta, indotta da povertà, creando un senso di disagio e di precarietà.
Invece e comunque, nei Paesi cosiddetti del primo mondo,




si dovrebbe ridurre,


per una scelta di morigeratezza e di responsabilità sociale, il consumo smodato che è andato affermandosi in questi anni.



Non è vero che consumando di più si sostengono l’occupazione e la produzione.
L’unico risultato del maggiore consumo è quello di sommergere il pianeta di cose inutili, sprecare materie prime, tempo, denaro, inquinare. Tanto il produttore ha già calcolato di rientrare anche del costo di produzione dell’invenduto.
Un’altra conseguenza della sovrapproduzione è la ricerca demenziale al ribasso dei costi di produzione al fine di continuare a mantenere alto il margine di guadagno in certi passaggi, che guarda caso, sono sempre quelli in mano al terziario. Cioè, non al possessore della materia prima o di chi la lavora, ma di chi la commercializza!
Per mantenere alto questo margine, spesso le cose vengono prodotte con materiali scadenti, lavorate da mano d’opera a bassissimo costo, perché sfruttata o non qualificata e, spessissimo, senza alcuna tutela del lavoratore e dell’ambiente.



Queste politiche di spinta al consumo producono solo l’effetto di drogare il mercato. Bisognerebbe riuscire a resistere alla tentazione di voler acquistare più del necessario, e soprattutto a




non cedere alla tentazione di abbassare il livello della qualità per mantenere la quantità.



È molto probabile che un cibo biologico, o un oggetto artigianale, costino un po’ di più rispetto ad una cosa prodotta risparmiando sulla qualità della materia prima e sulla mano d’opera.



A cosa serve che, per ammortizzare il costo di una macchina gigantesca e sofisticata che produce secchi di plastica, si debbano produrre migliaia di secchi, si debbano pagare meno i lavoratori, si debba spostare la produzione dall’altra parte del globo per sfruttare lavoratori più ricattabili dalla povertà o dal sistema sociale?
Perché mettere i secchi in un container, su di una nave e fare loro attraversare gli oceani per venderli dove quasi tutti hanno già un secchio?
Perché spendere soldi in pubblicità per creare ai consumatori finali la voglia di avere un secchio di colore diverso da quello che hanno già?


A chi serve?


E allora, come incitava un simpatico magistrato:




resistere, resistere, resistere


giovedì 6 novembre 2008

Ma fare la spesa così diventa complicato !!!



Ma no!

Si tratta solo di farlo con volontà, prestando attenzione per un certo periodo. Né più né meno di quando si impara a camminare o ad attraversare la strada, allacciarsi le scarpe, guidare la macchina… sembrano tutte cose complicate, ma ad un certo punto, ecco la magìa: tutto un insieme di azioni separate si agglutina fino a diventare una sola, così semplice da sembrare automatica.

Osservare, leggere etichette, considerare prezzi,
soldi nel borsellino nostro ed in quello dell’umanità,
stagioni, diete, giustezza sociale…
insomma
“fare la spesa”
diventa un atto “etico,politico, di coerenza”
e anche noi nel nostro piccolo da “goccia” diventiamo “oceano”
Illustrazione: particolare di un olio di Nino Argentati

sabato 25 ottobre 2008

reperimento delle materie prime e della lavorazione. Etica



Anche il reperimento delle materie prime e della loro lavorazione pone dei problemi morali in relazione ai mezzi, ai fini e ai moventi.



Un bel mobile di legno, caldo da accarezzare, meno artificiale delle materie di sintesi, è una soluzione preferibile alla plastica, ma



- non può venire da un disboscamento selvaggio che altera l’equilibrio di certe zone ambientali, minaccia la sopravvivenza di molte specie vegetali ed animali. Influenza le condizioni climatiche.
- Non può essere trattato con veleni per garantire l’indeformabilità, la non marcescenza, per resistere agli attacchi dei parassiti
- Non può attraversare il mondo, con tutti i suoi costi ed il relativo inquinamento, per andare sotto i piedi di qualche pretenzioso.



Certe stoffe contengono filati di sintesi per renderle più forti, hanno colori di sintesi per essere più brillanti, sono trattate, antipiega, antivento, antishock, idrorepellenti, termoisolanti.



- Ma quanti fanno regate transoceaniche, scalano il K2, traversano il Polo, si buttano da un aereo?
- Quante cose mettiamo nei dimenticatoi degli armadi come passano di moda o ci hanno stufato perché ci siamo sentiti come dei semafori, ingessati o abbiamo fatto la sauna?
- Quanti fiumi, falde acquifere, mari sono inquinati dai residui di queste lavorazioni? Quante persone hanno sviluppato allergie da contatto?



Quali sono i costi ambientali di tale scelta?


È una domanda da porsi sempre di fronte ad un oggetto.




La maggior parte della gente già si pone il problema del lavoro minorile, per fortuna. Ma quante altre situazioni di lavoro indegne di un essere umano ognuno ha intorno, anche senza cambiare continente o paese?




Anche una semplice scatola di pomodori pelati può essere eticamente scorretta:
- caporalato, sfruttamento dell’immigrazione clandestina, riduzione in schiavitù di soggetti deboli, eliminazione cruenta di chi osi reclamare condizioni di lavoro e di paga umane (Per non parlare di concimi, pesticidi, conservanti, ecc.ecc. appartenenti all’esame di cui sopra)



Quali sono i costi sociali di tale scelta?


È la seconda, se non prima, domanda da porsi sempre di fronte ad un oggetto.




lunedì 20 ottobre 2008

GAS, criteri di scelta dei produttori, 1

Dopo aver applicato il criterio del chilometro zero, l’altri criteri da considerare nella scelta dei fornitori di un GAS sono:


1. La biologicità o la biodinamicità (per gli alimentari)
2. L’etica di reperimento delle materie prime e di lavorazione da parte del produttore.


Il primo punto sembrerebbe molto facile da osservare, invece non è affatto così semplice.
In genere, si pensa che basti verificare la certificazione biologica o biodinamica. In senso lato, dovrebbe bastare, ma nel nostro paese per incongruenze burocratiche, per una seria sottovalutazione dei costumi sociali e dell’ ignoranza nel campo, non si hanno certezze neanche con i prodotti certificati.


Questa affermazione, piuttosto draconiana, necessita di una piccola nota storica, molto sintetizzata e ad uso di informazione spicciola per i non addetti.


fino a non molti anni fa (1990), filosofia e metodo biologico non erano sufficientemente divulgati, tanto che le confederazioni agricole e il Ministero dell’Agricoltura, che presiedevano alla regolamentazione e gestione del patrimonio agricolturale del paese, dello S.C.A.U. (l’albo degli agricoltori), dei sussidi statali e comunitari europei, persino loro, non avevano nemmeno i parametri per valutare le coltivazioni biologiche!
L’unica cosa effettuata quasi subito, fu la subordinazione ad una certificazione della vendita dei prodotti biologici. Per cui i primi produttori biologici dovettero sottoporsi a disciplinari esteri, lunghi e costosi.
Poi, capito il problema o individuato il business, nacquero alcuni enti privati italiani per la certificazione.

Nacque anche il primo vero problema per i produttori ed i consumatori.
Per i primi, non in tutti i casi le spese di certificazione si alleggerirono.
Visite e controlli erano spesso ridicoli per evidente mancanza di aderenza all’idea o di ignoranza degli ispettori stessi.
Per i secondi, l’alea della veridicità. Dopo una prima visita ai produttori, le altre seguivano a campionatura di comodo. Si diceva ai media: <>
Peccato che non fosse assolutamente possibile seguire tutti i produttori, non diciamo in quasi tutte le fasi della coltivazione e lavorazione del prodotto, ma nemmeno una volta all’anno!

Dagli anni ’50 in avanti la chimica aveva spadroneggiato nelle campagne italiane, perché sollevando i contadini da un mare di fatica e di perdite, era sembrata loro una mano santa (solo nel tempo ci si rese conto dei danni devastanti che produceva sui terreni, sull’uomo, sugli animali).
Contemporaneamente, negli stessi anni, si verificavano altri fatti molto importanti per l’agricoltura: lo spopolamento delle campagne, la gente richiamata da una industria più remunerativa si inurbava e la scarsa mano d’opera sui campi rendeva sempre più massiccio l’impiego del chimico. La constatazione dei danni ambientali coincise invece con il ritorno degli inurbati, che però si scoprirono fortemente determinati a non patire come i padri e facilmente aperti alle soluzioni di comodo, più remunerative cui li aveva abituati la società urbana post-industriale.

La constatazione dell’importanza delle politiche agricole spinse la Comunità Europea verso politiche di aiuto incentivante (finanziamenti o sgravi fiscali per una nuova politica agricola, ambientale ed occupazionale). Non che la politica europea fosse sbagliata, ma cadeva in un contesto, quello italiano, carente dal punto di vista di etica sociale e in totale assenza dello Stato, per cui tali aiuti furono vissuti in modo più assistenziale che incentivante, e di conseguenza manovrati politicamente o nepotisticamente, con l’aggravio del prevalere dell’idea di business-spinto sui profitti che ne derivavano.
Dove la comunità era più sensibile e vigile, a parte un primo sbandamento comune, si è avuto un effettivo miglioramento delle condizioni ambientali e lavorative. Dove la comunità era, come lo Stato, un ente astratto, c’è stato lo sbando totale.
Il business ha spinto parecchie persone già presenti a vario titolo in organismi di Stato ad entrare o creare Enti Certificatori privati, i quali (per cautelarsi) hanno assunto personale delle ASL e dei Sindacati degli Agricoltori (le sole aziende statali preposte al controllo su di loro).

Inoltre, a discapito del consumatore, è stata usata in modo speculativo l’applicazione della dicitura .

Terreno in riconversione. Ovvero terreno che deve essere messo a riposo ed ammendato per 3 anni. Nei successivi 2 anni può produrre con una certificazione . L’agricoltore fruisce, in questo periodo, di sgravi fiscali e di rimborsi per la riconversione. La certificazione biologica d’intento, non permette di commercializzare il prodotto come biologico.


Vale a dire, il terreno fino a quel momento caricato di sostanze nocive, avrebbe dovuto essere ammendato e rimanere improduttivo per 3 anni, nei successivi 2 anni, poteva essere produttivo ma senza la certificazione .
Gli sgravi fiscali e gli incentivi, però erano inferiori a quelli praticati per un semplice set aside. Per cui, in una politica di guadagno spinto, erano tutt’altro che incentivanti. Da qui, il ricorso alla frode da parte dei più disonesti,
con il sistematico avvallo degli enti certificatori privati, che facevano finta di non vedere e non sapere, e concedevano la certificazione di senza più controllare il terreno e senza incrociare i dati della prima certificazione con le date di concessione delle etichette per i prodotti. Così facendo l’azienda entrava, ed entra, subito in produzione-vendita con prodotti che non sono ancora biologici.

N.B. C’è una grossa falla anche nel sistema di etichettatura, che dipende dalla stima di produzione fatta solo sulla carta all’atto della prima visita dell’ente certificatore. Secondo questo sistema, stabilito che un terreno può rendere 100, si certificano etichette per 100. Se un anno il terreno produce 120, l’eccedenza è senza certificazione, ma l’anno che produce 80, c’è una certificazione in più che non viene restituita!

Queste sono frodi pesanti, difficilmente messe a nudo per mancanza di controlli.
Il controllo dei NAS avviene tuttora solo dietro denuncia di non conformità del prodotto finito.

Finalmente, una decina di anni fà, lo Stato, riconosce ufficialmente l’agricoltura biologica, assume la responsabilità della certificazione e, con insipienza ed incongruenza, la delega agli enti certificatori già esistenti, nonché “per democrazia” stabilisce che, dietro congruo pagamento, si possano fondare altri enti privati certificatori (!).

I produttori finiscono per pagare una tassa allo Stato ed una tassa a uno o più enti certificatori.


Fine della storia e considerazioni


I prodotti biologici sono sempre cari, il loro uso quotidiano è elitario e, beffa nella beffa, per ora solo una conoscenza diretta dell’onestà del produttore dà la certezza della biologicità o biodinamicità.


In questo contesto, l’ignorare l’importanza delle conseguenze di un conflitto d’interessi (impiegati della Associazioni di categoria, dei sindacati, della ASL, dell’Università col doppio lavoro nell’Ente pubblico e nell’Ente privato) danneggia spesso gravemente la società.
La continua duplicazione e sovrapposizione dei servizi privati e statali, confonde, sottrae forze e denari ai contribuenti, ai consumatori senza migliorare la resa dei servizi.

Perché, per quanto riguarda l’agricoltura non si procede ad un ribaltamento:
perchè non chiedere all'agricoltura che impiega prodotti chimici di sintesi l'obbligo della certificazione di non-nocività e far pagare a questi produttori una tassa in più per gli evidenti danni recati alla specie e all'ambiente?
perchè non impiegare direttamente gli impiegati delle ASL, che già fanno il doppio lavoro con i privati, nella certificazione e nel controllo diretto dello Stato?
perchè non considerare che le ASL sono già presenti in modo capillare sul territorio?

Per questa storia e questa realtà, oltre che per tutte le considerazioni già fatte in km zero, è più conveniente l’acquisto in loco, ovunque sia possibile dato che


la vicinanza tra produttore e consumatore porta ad un inevitabile
controllo sociale che favorisce il buon comportamento.

Viceversa, la lontananza tra il consumatore ed il produttore, porta ad un mancato controllo sociale
che favorisce l’ignoranza dell’uno e l’impunità dell’altro.


Una scelta cosciente dei produttori non è basilare solo per un GAS, ma anche per i privati.

domenica 19 ottobre 2008

kilometro zero nel privato


Si possono fare le considerazioni precedenti sul kilometro zero anche acquistando privatamente.

Gli esempi più facili sono quelli applicabili ad una spesa in un mercato o supermercato qualunque, dove le merci si trovano già in bella mostra sugli scaffali.

Ultimamente alcune catene di vendita hanno recepito il messaggio e, favorendo i consumatori, indicano sul cartellino di provenienza delle merci fresche oltre allo stato, la regione. Il che risulta essere un grosso aiuto nella scelta del km zero ed un criterio di scelta del punto vendita, dove possibile.
Sulla piazza di Milano, risulterà più in linea col km zero una scatola di pelati proveniente dall’Emilia Romagna, piuttosto di una che viene dalla Campania. Risulterà più consono acquistare i prodotti della Centrale del latte della città dove si abita (che lo ritira dagli allevatori locali), piuttosto che quello di una ditta a livello nazionale (che lo ritira indifferentemente a seconda del prezzo che spunta).


la lettura delle etichette, oltre ad aiutare, è illuminante!

Sarà indubbiamente istruttivo leggere le etichette della carne, la quale per ragioni quasi esclusivamente di speculazione economica, segue delle strade tortuosissime, dispendiose, e, spesso di grande sofferenza per gli animali.
Animali che nascono in un posto, vengono trasportati addirittura in altri Stati per l’allevamento, ristrasportati in terzi Stati per la macellazione e la vendita!!

Istruttivo è anche leggere l’etichetta delle acque minerali
e, a parte la discutibilità di bere acqua minerale imbottigliata invece dell’acqua fornita dal proprio acquedotto, si scoprirebbe quanto
ridicolo, nocivo e dispendioso sia il gioco dell’oca fatto con le acque minerali.

Ci sono comunque realtà che per disservizi o carenze delle strutture non hanno la possibilità di contare costantemente sulla fornitura pubblica e le persone si vedono costrette ad acquistare acque imbottigliate. Bene, proprio queste persone, sulle quali già grava un onere in più rispetto a quanto loro spettante, dovrebbero avere l’accortezza di acquistare acque imbottigliate alle fonti locali o al massimo regionali. Il nostro paese ha fonti sfruttate per l’imbottigliamento in ogni regione.

E se proprio uno sforzo si deve fare, forse
è meglio lottare affinché siano approntate fonti di approvvigionamento idrico più adatte alla realtà nella quale si vive.
Che senso ha sfiancarsi, rischiare un’ernia, un prolasso, un colpo apoplettico, o addirittura pagare per il servizio consegna solo perché chi di dovere non sistema gli acquedotti?

mercoledì 15 ottobre 2008

kilometro zero


È chiaro che lo stesso tipo di ragionamento fatto di fronte alle pere Argentine, all’interno di un GAS, va applicato anche nella scelta dei produttori che lo riforniranno.

Scegliere dei produttori locali,
che stiano il più possibile vicino, al luogo di consumo, ha degli indubbi vantaggi e ricadute individuali e sociali.

Per partire dall’individuo e dalla sua alimentazione,
possiamo considerare che il riflesso immediato si ha sulla salute:

- Ortaggi, frutta, latte, formaggi, ecc. non hanno bisogno di essere trattati per una lunga conservazione o per i danni dovuti al lungo trasporto. Meno residui chimici da ingollare. L’assenza di pesticidi, diserbanti, antimuffa, ecc. porta che si sviluppino meno reazioni a sostanze estranee al corpo (meno allergie), meno malattie dell’apparato digerente (gastriti, coliti, ecc), meno carenze (di oligoelementi, vitamine, ecc.), minor incidenza delle malattie nervose dovute ad alterazioni chimiche (c’è il fondato sospetto che malattie come il Morbo di Alzheimer ed altre degenerazioni del sistema neuronale seguano la catena del freddo).
- frutta e verdura vengono raccolte a piena maturazione, ricche di tutte quelle qualità e quel gusto che ce li rendono indispensabili ed appetibili.

Dal punto di vista sociale:

- Si sostiene una piccola economia a livello locale che permette più ampie occasioni di lavoro per un numero maggiore di persone
- Si mantiene la presenza dell’uomo-coltivatore, garantendo la produzione necessaria al territorio.
- La presenza dell’uomo coltivatore consente di tenere sott’occhio, dal punto di vista idrogeologico, il territorio, evitando così i dissesti, che in un paese come l’Italia, stanno diventando così frequenti e con ricadute inaccettabili a livello individuale, ma anche sociale.
- Sempre la presenza di piccole realtà produttive diversificate consente di non ricorrere alle mono-colture estensive, che depauperano i terreni, influenzando negativamente tutto l’habitat e portano ad una delocalizzazione che vincola ai trasporti lunghi con conseguente spreco di combustibili, pollution, ecc.
- Maggiore benessere fisico degli individui, consente un maggiore benessere della massa, con conseguente risparmio delle spese sanitarie evitabili e conseguente maggiore disponibilità per le altre, il tutto continuando a garantire una delle espressioni sociali più alte: la Sanità pubblica.

lunedì 13 ottobre 2008

compiti di un GAS

Abbiamo visto che il compito principale da svolgere all’interno di un GAS è l’educazione ad un pensiero che sia socialmente più responsabile, più equo, più coinvolgente.

Deve essere chiaro che il solo fine non può e non deve essere il risparmio.
Il risparmio vero si ha quando il risparmio sociale ha le ricadute su quello individuale.
Partire dal contrario può sembrare conveniente perché più immediato, ma ha vita breve.

Oggi in Italia, comprare una pera che viene dall’Argentina per risparmiare 20 centesimi sul chilo, può sembrare un risparmio, ma deve essere chiaro che per avere in Italia quella pera argentina:

- è stato sfruttato il produttore argentino al fine di mantenere alto il margine di guadagno, perché sono certamente aumentate le spese di trasporto (combustibile ed usura dei mezzi di trasporto) ed i passaggi di consegna,
- si sono inquinate e sprecate risorse insostituibili (aria, mari, combustibile)
- si è tolto l’incentivo ai produttori italiani, quando addirittura, per mantenere un determinato prezzo, non si sono distrutte parti di produzione!

Le conseguenze:

1. Colonizzazione e sfruttamento di un produttore più debole.
2. Aumento esponenziale della pollution ed depauperamento delle risorse naturali
3. Innesco di un giro vizioso che porta al ricorso degli aiuti comunitari, quando non all’abbandono delle colture nel nostro paese, e di conseguenza all’importazione da paesi altri.

sabato 11 ottobre 2008

GAS?

Gruppo di Acquisto Sociale o Gruppo di Azione Solidale?

Forse il GAS ideale è proprio solo quello dove le due idee si fondono, quello che le contiene tutte e due come intenti veri, sentiti e vissuti.
Gruppo di Acquisto solidale

L’intento di un GAS dovrebbe essere quello di dare un sostegno ad una economia possibile sia dal punto di vista sociale che individuale.

un GAS dovrebbe trovarsi quasi in ogni caseggiato nelle città, ed in ogni paese

un GAS dovrebbe avere il precipuo compito di rendere la gente più consapevole dell’impatto delle proprie scelte di consumo e delle possibilità di intervento individuale e di gruppo.

come gocce

Come gocce, che cadono dal cielo una ad una e diventano, anche sotto il sole più caldo, rivo, fiume, mare, oceano per tornare ad essere gocce.


Anche noi, con la nostra consapevolezza, possiamo diventare individui determinati ad un consumo consapevole.

Formare un GAS, che sostiene chi coltiva o produce nel pieno rispetto della Terra, dell’Essere Umano, della Società..



Tanti GAS possono possono condizionare un “costume”, un “mercato” esprimere la volontà di un etica che travalichi quella del mero “profitto”.








































giovedì 2 ottobre 2008

Siamo piccola cosa

Ma stiamo tra il cielo e la terra. Situazione meravigliosa: le energie dell’uno e dell’altra ci pervadono, ci attraversano, ci alimentano, ci tengono in armonia col tutto!
Osservazione semplice, che permette agli individui di gestirsi equilibratamente.
Tanti individui equilibrati danno stabilità ad una società, che a sua volta è in grado di accogliere un numero abbastanza considerevole di individui in cerca di equilibrio. Il contrario demolisce una società.
L’individuo è in perenne lotta per trovare e mantenere il suo personale equilibrio. Si può dire che non basti una vita per realizzarsi interamente.
Ma certo è che essere coscienti di questa ricerca e raggiungere, uno dietro l’altro, piccoli traguardi, finisce per costituire una buona base che sorregge vita natural-durante. Soprattutto difende dallo scoramento di sentirsi vulnerabili, minoranza e allenta la tentazione di entrare nel gruppone dei cosidetti-vincenti.
Come spiega molto bene Daniel Barenboim, nel suo libro “La musica sveglia il tempo”, con una parafrasi dell’Etica di Spinoza: “quanto più siamo capaci di determinare i nostri pensieri – i nostri propri pensieri, dunque creandoci una nostra personale esperienza della realtà -, tanto più siamo capaci di autodeterminazione così da essere veramente liberi.” Poi prosegue: “ È piuttosto facile credersi liberi nella moderna civiltà occidentale, così prodiga di opportunità – possiamo scegliere dove vivere, cosa leggere, cosa guardare alla televisione o su internet -, ma in realtà questo tipo di libertà richiede che si possieda un’acuta consapevolezza dei propri desideri. Senza tale consapevolezza, siamo solo in loro balìa e nell’impotenza di dare forma alle nostre idee e ai nostri atti.”

martedì 30 settembre 2008

secondo passo

Inutile buttare tutto quello per cui siamo inorriditi o sentirsi in colpa (aggrava solo il senso di inanità che già pervade molte vite e peggiora lo stress), conviene fare un

secondo passo.


All’atto di un acquisto, considerare:


1. Da dove viene? Chi l’ha prodotto e come?
2. Perché sento l’impulso a comprare questa cosa?


Alle prime domande chiedersi :


- In caso venga da più di 100 km dal luogo dell’acquisto, valeva la pena di fargli fare tutta questa strada (con tutto ciò che ne deriva: carburante, inquinamento, risorse umane)?
- Se i materiali con i quali l’hanno prodotto sono naturali: ha prodotto depauperamento di risorse naturali?
- Se i materiali sono sintetici: le scorie di lavorazione o di fine uso, inquinano? Sono riciclabili?
- La mano d’opera può essere pagata poco, ma non sfruttata. No assoluto al lavoro minorile. È garantita la tutela della salute? sono garantiti i diritti dei lavoratori?

Alla seconda domanda:

- Ho una pulsione coatta per gratificarmi?
- Sto seguendo una moda per sentirmi parte del “gruppo”?
- Serve a che: benessere fisico, spirituale?

Se a queste domande non sai dare una risposta coerente con il tuo impegno di “persona”, soprassiedi, non mancherà l’occasione per trovare l’oggetto giusto e varrà molto più la soddisfazione di fare la cosa giusta al momento giusto della delusione di ora.

lunedì 29 settembre 2008

la consapevolezza

Siediti comodamente, rilassati e lascia che il tuo sguardo si posi sugli oggetti che ti circondano.
Ogni oggetto che vedi è entrato nella tua vita in un certo momento e per una certa ragione. Cerca di ricordarle. Cerca anche di capire se è essenziale per la tua vita, se serve al tuo benessere duraturo.

È probabile che tu sbigottisca:

Parecchi, fra gli oggetti che ti circondano, non hanno una reale importanza per il tuo benessere fisico o psichico.
Di parecchi non riesci a ricordarti quando e perché li hai acquisiti.
Molti hanno un valore effimero del tutto scollegato dalle reali esigenze del tuo benessere.
Molti sono costati troppo, rispetto alle tue possibilità. Hanno stornato soldi, attenzione ed impegno al raggiungimento di qualcosa di più importante per te.

Molti sono costati a chi li ha prodotti salute, libertà, dignità in assoluto o in misura esagerata rispetto al valore reale e a quello che tu puoi avergli dato.
Per produrne alcuni sono state saccheggiate o distrutte risorse che appartengono all’umanità intera.
Molti, per raggiungere il mercato dove li hai comprati, hanno inquinato acque, aria di tutti. Bruciato, in giri vani, energie già in esaurimento.

Come ti senti?
Male, vero?

Pensa che, siccome non sei ubiquitario, ciò che hai analizzato è solo il contenuto di una stanza!

Se sei un masochista , che vuole bere fino in fondo l’amaro calice, fai il giro dell’appartamento.
Se sei uno che tende a rimuovere per buona pace le cose scomode, poniti l’obiettivo di fare una stanza a settimana.
Il martellamento ti farà riscoprire una coscienza diversa degli oggetti.

Riflettici e ogni volta che posi gli occhi su qualcosa, tienli aperti!

mercoledì 24 settembre 2008

Work in progress

Stiamo lavorando.. per tutti.