domenica 16 novembre 2008

Consumo responsabile



Quando si parla di riduzione dei consumi, i media creano una immagine “privativa”, di recessione coatta, indotta da povertà, creando un senso di disagio e di precarietà.
Invece e comunque, nei Paesi cosiddetti del primo mondo,




si dovrebbe ridurre,


per una scelta di morigeratezza e di responsabilità sociale, il consumo smodato che è andato affermandosi in questi anni.



Non è vero che consumando di più si sostengono l’occupazione e la produzione.
L’unico risultato del maggiore consumo è quello di sommergere il pianeta di cose inutili, sprecare materie prime, tempo, denaro, inquinare. Tanto il produttore ha già calcolato di rientrare anche del costo di produzione dell’invenduto.
Un’altra conseguenza della sovrapproduzione è la ricerca demenziale al ribasso dei costi di produzione al fine di continuare a mantenere alto il margine di guadagno in certi passaggi, che guarda caso, sono sempre quelli in mano al terziario. Cioè, non al possessore della materia prima o di chi la lavora, ma di chi la commercializza!
Per mantenere alto questo margine, spesso le cose vengono prodotte con materiali scadenti, lavorate da mano d’opera a bassissimo costo, perché sfruttata o non qualificata e, spessissimo, senza alcuna tutela del lavoratore e dell’ambiente.



Queste politiche di spinta al consumo producono solo l’effetto di drogare il mercato. Bisognerebbe riuscire a resistere alla tentazione di voler acquistare più del necessario, e soprattutto a




non cedere alla tentazione di abbassare il livello della qualità per mantenere la quantità.



È molto probabile che un cibo biologico, o un oggetto artigianale, costino un po’ di più rispetto ad una cosa prodotta risparmiando sulla qualità della materia prima e sulla mano d’opera.



A cosa serve che, per ammortizzare il costo di una macchina gigantesca e sofisticata che produce secchi di plastica, si debbano produrre migliaia di secchi, si debbano pagare meno i lavoratori, si debba spostare la produzione dall’altra parte del globo per sfruttare lavoratori più ricattabili dalla povertà o dal sistema sociale?
Perché mettere i secchi in un container, su di una nave e fare loro attraversare gli oceani per venderli dove quasi tutti hanno già un secchio?
Perché spendere soldi in pubblicità per creare ai consumatori finali la voglia di avere un secchio di colore diverso da quello che hanno già?


A chi serve?


E allora, come incitava un simpatico magistrato:




resistere, resistere, resistere


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