lunedì 20 ottobre 2008

GAS, criteri di scelta dei produttori, 1

Dopo aver applicato il criterio del chilometro zero, l’altri criteri da considerare nella scelta dei fornitori di un GAS sono:


1. La biologicità o la biodinamicità (per gli alimentari)
2. L’etica di reperimento delle materie prime e di lavorazione da parte del produttore.


Il primo punto sembrerebbe molto facile da osservare, invece non è affatto così semplice.
In genere, si pensa che basti verificare la certificazione biologica o biodinamica. In senso lato, dovrebbe bastare, ma nel nostro paese per incongruenze burocratiche, per una seria sottovalutazione dei costumi sociali e dell’ ignoranza nel campo, non si hanno certezze neanche con i prodotti certificati.


Questa affermazione, piuttosto draconiana, necessita di una piccola nota storica, molto sintetizzata e ad uso di informazione spicciola per i non addetti.


fino a non molti anni fa (1990), filosofia e metodo biologico non erano sufficientemente divulgati, tanto che le confederazioni agricole e il Ministero dell’Agricoltura, che presiedevano alla regolamentazione e gestione del patrimonio agricolturale del paese, dello S.C.A.U. (l’albo degli agricoltori), dei sussidi statali e comunitari europei, persino loro, non avevano nemmeno i parametri per valutare le coltivazioni biologiche!
L’unica cosa effettuata quasi subito, fu la subordinazione ad una certificazione della vendita dei prodotti biologici. Per cui i primi produttori biologici dovettero sottoporsi a disciplinari esteri, lunghi e costosi.
Poi, capito il problema o individuato il business, nacquero alcuni enti privati italiani per la certificazione.

Nacque anche il primo vero problema per i produttori ed i consumatori.
Per i primi, non in tutti i casi le spese di certificazione si alleggerirono.
Visite e controlli erano spesso ridicoli per evidente mancanza di aderenza all’idea o di ignoranza degli ispettori stessi.
Per i secondi, l’alea della veridicità. Dopo una prima visita ai produttori, le altre seguivano a campionatura di comodo. Si diceva ai media: <>
Peccato che non fosse assolutamente possibile seguire tutti i produttori, non diciamo in quasi tutte le fasi della coltivazione e lavorazione del prodotto, ma nemmeno una volta all’anno!

Dagli anni ’50 in avanti la chimica aveva spadroneggiato nelle campagne italiane, perché sollevando i contadini da un mare di fatica e di perdite, era sembrata loro una mano santa (solo nel tempo ci si rese conto dei danni devastanti che produceva sui terreni, sull’uomo, sugli animali).
Contemporaneamente, negli stessi anni, si verificavano altri fatti molto importanti per l’agricoltura: lo spopolamento delle campagne, la gente richiamata da una industria più remunerativa si inurbava e la scarsa mano d’opera sui campi rendeva sempre più massiccio l’impiego del chimico. La constatazione dei danni ambientali coincise invece con il ritorno degli inurbati, che però si scoprirono fortemente determinati a non patire come i padri e facilmente aperti alle soluzioni di comodo, più remunerative cui li aveva abituati la società urbana post-industriale.

La constatazione dell’importanza delle politiche agricole spinse la Comunità Europea verso politiche di aiuto incentivante (finanziamenti o sgravi fiscali per una nuova politica agricola, ambientale ed occupazionale). Non che la politica europea fosse sbagliata, ma cadeva in un contesto, quello italiano, carente dal punto di vista di etica sociale e in totale assenza dello Stato, per cui tali aiuti furono vissuti in modo più assistenziale che incentivante, e di conseguenza manovrati politicamente o nepotisticamente, con l’aggravio del prevalere dell’idea di business-spinto sui profitti che ne derivavano.
Dove la comunità era più sensibile e vigile, a parte un primo sbandamento comune, si è avuto un effettivo miglioramento delle condizioni ambientali e lavorative. Dove la comunità era, come lo Stato, un ente astratto, c’è stato lo sbando totale.
Il business ha spinto parecchie persone già presenti a vario titolo in organismi di Stato ad entrare o creare Enti Certificatori privati, i quali (per cautelarsi) hanno assunto personale delle ASL e dei Sindacati degli Agricoltori (le sole aziende statali preposte al controllo su di loro).

Inoltre, a discapito del consumatore, è stata usata in modo speculativo l’applicazione della dicitura .

Terreno in riconversione. Ovvero terreno che deve essere messo a riposo ed ammendato per 3 anni. Nei successivi 2 anni può produrre con una certificazione . L’agricoltore fruisce, in questo periodo, di sgravi fiscali e di rimborsi per la riconversione. La certificazione biologica d’intento, non permette di commercializzare il prodotto come biologico.


Vale a dire, il terreno fino a quel momento caricato di sostanze nocive, avrebbe dovuto essere ammendato e rimanere improduttivo per 3 anni, nei successivi 2 anni, poteva essere produttivo ma senza la certificazione .
Gli sgravi fiscali e gli incentivi, però erano inferiori a quelli praticati per un semplice set aside. Per cui, in una politica di guadagno spinto, erano tutt’altro che incentivanti. Da qui, il ricorso alla frode da parte dei più disonesti,
con il sistematico avvallo degli enti certificatori privati, che facevano finta di non vedere e non sapere, e concedevano la certificazione di senza più controllare il terreno e senza incrociare i dati della prima certificazione con le date di concessione delle etichette per i prodotti. Così facendo l’azienda entrava, ed entra, subito in produzione-vendita con prodotti che non sono ancora biologici.

N.B. C’è una grossa falla anche nel sistema di etichettatura, che dipende dalla stima di produzione fatta solo sulla carta all’atto della prima visita dell’ente certificatore. Secondo questo sistema, stabilito che un terreno può rendere 100, si certificano etichette per 100. Se un anno il terreno produce 120, l’eccedenza è senza certificazione, ma l’anno che produce 80, c’è una certificazione in più che non viene restituita!

Queste sono frodi pesanti, difficilmente messe a nudo per mancanza di controlli.
Il controllo dei NAS avviene tuttora solo dietro denuncia di non conformità del prodotto finito.

Finalmente, una decina di anni fà, lo Stato, riconosce ufficialmente l’agricoltura biologica, assume la responsabilità della certificazione e, con insipienza ed incongruenza, la delega agli enti certificatori già esistenti, nonché “per democrazia” stabilisce che, dietro congruo pagamento, si possano fondare altri enti privati certificatori (!).

I produttori finiscono per pagare una tassa allo Stato ed una tassa a uno o più enti certificatori.


Fine della storia e considerazioni


I prodotti biologici sono sempre cari, il loro uso quotidiano è elitario e, beffa nella beffa, per ora solo una conoscenza diretta dell’onestà del produttore dà la certezza della biologicità o biodinamicità.


In questo contesto, l’ignorare l’importanza delle conseguenze di un conflitto d’interessi (impiegati della Associazioni di categoria, dei sindacati, della ASL, dell’Università col doppio lavoro nell’Ente pubblico e nell’Ente privato) danneggia spesso gravemente la società.
La continua duplicazione e sovrapposizione dei servizi privati e statali, confonde, sottrae forze e denari ai contribuenti, ai consumatori senza migliorare la resa dei servizi.

Perché, per quanto riguarda l’agricoltura non si procede ad un ribaltamento:
perchè non chiedere all'agricoltura che impiega prodotti chimici di sintesi l'obbligo della certificazione di non-nocività e far pagare a questi produttori una tassa in più per gli evidenti danni recati alla specie e all'ambiente?
perchè non impiegare direttamente gli impiegati delle ASL, che già fanno il doppio lavoro con i privati, nella certificazione e nel controllo diretto dello Stato?
perchè non considerare che le ASL sono già presenti in modo capillare sul territorio?

Per questa storia e questa realtà, oltre che per tutte le considerazioni già fatte in km zero, è più conveniente l’acquisto in loco, ovunque sia possibile dato che


la vicinanza tra produttore e consumatore porta ad un inevitabile
controllo sociale che favorisce il buon comportamento.

Viceversa, la lontananza tra il consumatore ed il produttore, porta ad un mancato controllo sociale
che favorisce l’ignoranza dell’uno e l’impunità dell’altro.


Una scelta cosciente dei produttori non è basilare solo per un GAS, ma anche per i privati.

Nessun commento: